La paura di essere giudicati
Molti dicono: “tutti hanno i loro problemi e credo che sia una buonissima cosa andare dallo psicologo”. Ma poi, queste stesse persone potrebbero dirti: “Vado dallo psicologo”, “La mia ragazza va dallo psicologo”, “Quello va dallo psicologo”, “…Shhhh…non facciamoci sentire…”, te lo dicono con voce sommessa, farfugliandotelo o sussurandotelo…e, alcune volte, la frase “quello ha bisogno dello psicologo!” viene pronunciata addirittura come un’offesa! Come se averne bisogno fosse una vera e propria colpa!
Andare dal medico viene ritenuto normale ed adeguato, perché viene considerato naturale ammalarsi di una malattia fisica. Pertanto, viene ritenuto giusto, responsabile e normale recarsi dal dottore per trovare un rimedio. Infatti, nessuno viene giudicato se si reca in un ambulatorio medico. Invece, molte volte, se si sa che qualcuno va dallo psicologo lo si potrebbe giudicare.
Perché dal medico “normale” e dallo psicologo no?
La malattia fisica, per quanto spesso venga anch’essa stigmatizzata, tendenzialmente non viene imputata ad una responsabilità dell’ammalato.
Per questo motivo, se qualcuno ha una malattia fisica, essa non viene correlata con una “mancanza”, un’ “incapacità” o una “debolezza” della persona, ma con un’ incapacità, debolezza e mancanza del suo corpo.
Pertanto, essere ammalati di una malattia fisica generalmente non viene considerata una responsabilità della persona.
Contrariamente, il malessere psicologico viene con molta più facilità correlato con una debolezza, mancanza ed incapacità personale. Pertanto emerge un certo giudizio verso la persona che sta male.
In altri termini, “se tu stai psicologicamente male” allora vuol dire che “sei tu incapace di stare bene”, “sei tu che sei una persona debole”.
Sei tu che sei una persona “difettosa”.
Un idea che deve essere assolutamente sfatata!
Sfatare l’idea di essere “difettosi” se si va dallo psicologo
Le persone che non stanno bene (che hanno ansia, attacchi di panico, depressione…) possono credere di essere “difettose”, di essere “fatte male”, di “funzionare male”, di avere “il cervello bacato”, di “essere pazze”, che altro non significa se non credere che c’é qualcosa che non va con la natura stessa della propria persona.
Questo è un retaggio che deriva dalla cultura manicomiale, per la quale chi mostrava segni di una grave patologia mentale non era altro che un “pazzo” da legare e sedare, nell’idea che il malessere dipendesse esclusivamente da un disfunzionamento organico irrimediabile. Pertanto, le persone venivano rinchiuse e marginalizzate perché ritenute difettose ed irrecuperabili, non più utili alla società, un peso da cui doversi liberare, fino a ritenerle delle creature diverse da tutti gli altri esseri umani.
Oggi, invece, sappiamo che ogni forma di sofferenza psichica – dalla più grave a quella più lieve – dipende soprattutto dalla storia di vita delle persone (fatta di eventi e di relazioni con gli altri e dal contesto sociale di riferimento) e dalle situazioni che sta attualmente affrontando. Certo, in alcuni casi possono esserci delle influenze organiche, ma anche in questo caso i principali fattori che causano la sofferenza di un individuo sono da ricercarsi nella sua storia di vita e in quello che sta accadendo attualmente nella sua vita. Questo è quello che dice la scienza.
Pertanto, ogni forma di malessere (ansia, attacchi di panico, depressione, problemi di coppia, problemi famigliari, problemi nel rapporto genitori figli, disfunzioni sessuali…) non dipende da un “difetto legato alla natura della persona”. Invece, ci sono sempre delle buone ragioni se le cose non stanno andando bene, se si sta male o se si ha un problema.
E dicendo “buone ragioni” non si intende dire che bisogni per forza condividerle o ritenerle giuste ma che, se ci sono delle ragioni, allora bisogna comprenderle senza giudicarle, perché solo comprendendole si può capire quale rimedio adottare per curarsi efficacemente e stare meglio.
Chi vive una condizione di malessere, sia che si esprima attraverso attacchi di panico, ansia o un umore depresso (per citare le forme più diffuse in cui si esprime il nostro malessere), non è stupido, debole, difettoso, pazzo, uno sfigato o un fallito, ma è una persona che si è trovata -o si sta ancora trovando- in situazioni complicate che hanno o stanno ancora avendo un impatto negativo sulla percezione che ha di sè e del mondo in cui vive.
Questa persona ha bisogno del suo tempo, del suo spazio e di un’aiuto professionale per capire come uscire dalla propria condizione e trovare un nuovo equilibrio in cui sentirsi meglio con se stesso e con il mondo circostante.