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Mia mamma è nata e cresciuta nella provincia di Bergamo, e mio papà è originario di Lodi. Si erano conosciuti su una panchina al Lago di Garda. Otto anni dopo si sposarono, e poi arrivai io!
I miei decisero di comprare casa a Fontanella, un paese vicino alla casa dei miei nonni materni, che vivevano nella campagna bergamasca. Siccome ho trascorso gran parte della mia infanzia e adolescenza dai nonni, dico sempre che “sono cresciuto tra la campagna e la città”: tra la natura, il cibo casereccio, gli animali e la realtà di un paese di provincia.
La vita in campagna ha influenzato molto la mia infanzia e buona parte della mia prima adolescenza. In quel mondo, l’idea era che esistesse prevalentemente ciò che si poteva “toccare” e trasformare con il lavoro manuale e l’immaginazione. Il mondo interno, quello dei sentimenti e della psicologia umana era sempre lì, ma per scoprirlo e appassionarmene ho dovuto prima attraversare e vivere alcune esperienze di vita.
Essendo cresciuto prevalentemente in campagna, da bambino usavo tutta la mia curiosità, immaginazione ed iniziativa per costruire casette di legno sui fossati ed in mezzo ai canneti. Ero appassionato di Lego e cercavo di capire come funzionasse il lavoro del nonno (Franco) e dello zio (Gianluca), che coltivavano i campi e allevavano bestiame. Stavo spesso con loro, li seguivo e chiedevo cosa potessi fare, come loro, immerso nel rumore dei trattori, nei suoni degli animali e negli odori della terra, dell’erba, del fieno, dei fossati e della polvere che si alzava quando il trattore passava sulla strada sterrata. Quel bambino era lì, che si chiedeva come funzionasse quel mondo. E proprio lì, da adolescente, andavo a cavallo, guidavo trattori ed avevo imparato a fare tante cose, proprio come il nonno e lo zio.
Mio padre, Marco (interista sfegatato), era spesso in viaggio per lavoro, ma quando era a casa passavamo molto tempo insieme. È sempre stato una persona dinamica e sportiva: tennis, ciclismo, calcio, nuoto, sci… sono stati per lui vere passioni, che ha praticato con costanza nel tempo. Mi ha trasmesso l’amore per la musica, in particolare per il blues e il soul, anche se oggi non credo di avere un genere preferito. Ascolto davvero di tutto: rap, trap, reggae, musica latina… dipende dal testo o dalla melodia.
Quando ero piccolo, mi portava spesso con lui in bici: io stavo seduto sul seggiolino, e partivamo per le sue lunghe girate. Di tanto in tanto mi portava allo stadio a vedere l’Inter, e quando era a casa mi accompagnava agli allenamenti, seguendomi con entusiasmo durante le partite. A volte mi imbarazzava un po’, perché urlava dalle tribune: “Vai Teooo, tira la bombaaa!”, oppure “Vai Teooo, fai lo scatto del gepardo!”, mentre intorno tutti seguivano l’azione in silenzio. Ma, a pensarci bene, erano momenti che mi facevano anche sentire fiero.
Spesso mi portava a fare lunghe girate in macchina, con la musica di sottofondo. Andavamo a trovare lo zio a Lodi o i suoi cugini, oppure giravamo senza meta, alla ricerca di qualche bar nuovo dove fermarci per fare colazione la domenica mattina. Lui leggeva la Gazzetta, io bevevo un succo con una brioche.
Viaggiando spesso per lavoro, e con la sua passione per lo sport, mio padre mi ha trasmesso l’amore per i viaggi, il movimento e mi ha insegnato ad affrontare i problemi con filosofia e strategia.
Mia madre, Ornella, invece, provenendo da una cultura più di provincia e da una famiglia molto pratica e dedita al lavoro (come ogni famiglia bergamasca che si rispetti!), mi ha sempre insegnato ad affrontare la vita con senso pratico, ad amare il sole e la natura.
Ricordo spesso le nostre passeggiate in campagna, in mezzo al verde, o tra la neve d’inverno. Ancora oggi ama svegliarsi presto al mattino e farsi una camminata tra fossati e fontanili, tipici della nostra zona.
Ecco, lei potrei definirla una passeggiatrice appassionata, sempre indaffarata, attiva, dedita alla casa e a trovare modi ingegnosi per passare il tempo. Ma non manca mai di concedersi, ogni giorno, un bel pisolino pomeridiano.
Anche mia zia Elena, sorella di mia madre, è stata una figura molto importante nella mia educazione. Ricordo che in famiglia era spesso lei a giocare con me: ci divertivamo molto insieme, e mi ha sempre trasmesso tanto affetto, come se fossi un figlio per lei. O forse più un fratello minore, considerando che ci separano solo quindici anni.
È sempre stata la mia confidente più intima, una guida preziosa, soprattutto nei momenti difficili della mia adolescenza. Appassionata di letteratura, insegnante di italiano e amante dei viaggi, da lei ho imparato soprattutto la curiosità per la conoscenza e l'amore per i libri.
Infine — ma non certo per importanza — mia nonna materna (Rosetta): una donna di campagna, con la sua passione per l’orto, il pollaio e la cucina. Di lei mi ha sempre affascinato il modo in cui riusciva a riunire intorno alla tavola chiunque passasse di lì. Per lei, il cibo era un linguaggio: un modo per comunicare se stessa e per entrare in relazione con gli altri. È proprio da lei che ho imparato a cucinare con attenzione e cura. Non era raro che a casa aiutassi mia madre, o che cucinassi io per tutti.
Anche alle feste di compleanno mi piaceva invitare gli amici e preparare qualcosa di buono per loro. Il mio pezzo forte? Risotto al vino rosso e funghi porcini (ricetta della nonna!)
Successivamente, quando mia zia si sposò, imparai anche da mio zio Salvatore— di origine napoletana e super appassionato di cucina e pasticceria — a preparare una pastafrolla pazzesca! Devo dire che, negli anni, anche lui è diventato per me un prezioso confidente.
Sebbene tutte queste figure abbiano avuto un ruolo importantissimo nella mia educazione, ad oggi sento di dire che i miei punti di riferimento più solidi sono mio padre e Cinzia, sua moglie.
Con Cinzia ho instaurato negli anni un rapporto fatto di stima, ascolto e sincerità. È una persona lucida, pratica e profonda al tempo stesso, con cui posso confrontarmi anche su temi complessi, sapendo di essere accolto e compreso. Insieme a mio padre, forma una presenza costante e rassicurante nella mia vita adulta: una bussola affettiva, ma anche morale, che mi aiuta a orientarmi, soprattutto quando ci sono momenti di dubbio e incertezza.