Ciao, e benvenutə sul mio sito!




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Mi chiamo Matteo Lupi e sono uno psicologo. Vivo e lavoro da anni a Prato, ma sono originario della provincia di Bergamo.

Qui, vorrei raccontarti un po’ di me. 

Infatti, per me presentarsi significa condividere qualcosa che vada oltre il curriculum. Per questo, ho scelto di iniziare raccontandoti un po’ della mia storia.
(Se invece sei interessatə al mio approccio terapeutico o alla mia formazione, puoi cliccare qui)

C’era una volta un bambino che sembrava destinato a diventare un interista sfegatato (come il papà), un agricoltore (come il nonno e lo zio), oppure un geometra o un architetto, perché era bravo a disegnare, si divertiva con i Lego e a dodici anni costruiva casette in mezzo ai canneti e piccoli ponticelli sui fossati. 

Invece, eccomi qua: un uomo che nutre una certa simpatia per l’Inter, ma che è soprattutto uno psicologo che si sente sempre onorato quando una persona gli permette di entrare nella propria vita, aprendogli il suo cuore e raccontando la sua storia. 

E pensa che -forse ti sorprenderà- la scuola non mi piaceva molto. Studiavo a sufficienza, sia alle medie sia alle superiori. 

Alle medie, la mia insegnante di tecnologia una volta mi disse “Lupi, tu sei adatto per fare una scuola professionale, lo studio non fa per te…”. Un anno, in seconda superiore, venni pure bocciato! Tuttavia, verso la maturità e all’università lo studio divenne la mia principale attività. Non c’era libro -compresi i romanzi- che non leggessi con una dedizione tale da trasformare ogni momento di lettura in uno studio approfondito. Posso dirlo? La mia insegnante di tecnologia non aveva capito un cazzo.

C’era una volta un bambino che sembrava destinato a diventare un interista sfegatato (come il papà), un agricoltore (come il nonno e lo zio), oppure un geometra o un architetto, perché era bravo a disegnare, si divertiva con i Lego e a dodici anni costruiva casette in mezzo ai canneti e piccoli ponticelli sui fossati. 

Invece, eccomi qua: un uomo che nutre una certa simpatia per l’Inter, ma che è soprattutto uno psicologo che si sente sempre onorato quando una persona gli permette di entrare nella propria vita, aprendogli il suo cuore e raccontando la sua storia. 

E pensa che -forse ti sorprenderà- la scuola non mi piaceva molto. Studiavo a sufficienza, sia alle medie sia alle superiori. 

Alle medie, la mia insegnante di tecnologia una volta mi disse “Lupi, tu sei adatto per fare una scuola professionale, lo studio non fa per te…”. Un anno, in seconda superiore, venni pure bocciato! Tuttavia, verso la maturità e all’università lo studio divenne la mia principale attività. Non c’era libro -compresi i romanzi- che non leggessi con una dedizione tale da trasformare ogni momento di lettura in uno studio approfondito. Posso dirlo? La mia insegnante di tecnologia non aveva capito un cazzo.

Radici, infanzia e famiglia

Radici, infanzia e famiglia

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Mia mamma è nata e cresciuta nella provincia di Bergamo, e mio papà è originario di Lodi. Si erano conosciuti su una panchina al Lago di Garda. Otto anni dopo si sposarono, e poi arrivai io! 

I miei decisero di comprare casa a Fontanella, un paese vicino alla casa dei miei nonni materni, che vivevano nella campagna bergamasca. Siccome ho trascorso gran parte della mia infanzia e adolescenza dai nonni, dico sempre che “sono cresciuto tra la campagna e la città”: tra la natura, il cibo casereccio, gli animali e la realtà di un paese di provincia.


La vita in campagna ha influenzato molto la mia infanzia e buona parte della mia prima adolescenza. In quel mondo, l’idea era che esistesse prevalentemente ciò che si poteva “toccare” e trasformare con il lavoro manuale e l’immaginazione. Il mondo interno, quello dei sentimenti e della psicologia umana era sempre lì, ma per scoprirlo e appassionarmene ho dovuto prima attraversare e vivere alcune esperienze di vita.

Essendo cresciuto prevalentemente in campagna, da bambino usavo tutta la mia curiosità, immaginazione ed iniziativa per costruire casette di legno sui fossati ed in mezzo ai canneti. Ero appassionato di Lego e cercavo di capire come funzionasse il lavoro del nonno (Franco) e dello zio (Gianluca), che coltivavano i campi e allevavano bestiame. Stavo spesso con loro, li seguivo e chiedevo cosa potessi fare, come loro, immerso nel rumore dei trattori, nei suoni degli animali e negli odori della terra, dell’erba, del fieno, dei fossati e della polvere che si alzava quando il trattore passava sulla strada sterrata. Quel bambino  era lì, che si chiedeva come funzionasse quel mondo. E proprio lì, da adolescente, andavo a cavallo, guidavo trattori ed avevo imparato a fare tante cose, proprio come il nonno e lo zio. 

Mio padre, Marco (interista sfegatato), era spesso in viaggio per lavoro, ma quando era a casa passavamo molto tempo insieme. È sempre stato una persona dinamica e sportiva: tennis, ciclismo, calcio, nuoto, sci… sono stati per lui vere passioni, che ha praticato con costanza nel tempo. Mi ha trasmesso l’amore per la musica, in particolare per il blues e il soul, anche se oggi non credo di avere un genere preferito. Ascolto davvero di tutto: rap, trap, reggae, musica latina… dipende dal testo o dalla melodia.

Quando ero piccolo, mi portava spesso con lui in bici: io stavo seduto sul seggiolino, e partivamo per le sue lunghe girate. Di tanto in tanto mi portava allo stadio a vedere l’Inter, e quando era a casa mi accompagnava agli allenamenti, seguendomi con entusiasmo durante le partite. A volte mi imbarazzava un po’, perché urlava dalle tribune: “Vai Teooo, tira la bombaaa!”, oppure “Vai Teooo, fai lo scatto del gepardo!”, mentre intorno tutti seguivano l’azione in silenzio. Ma, a pensarci bene, erano momenti che mi facevano anche sentire fiero. 

Spesso mi portava a fare lunghe girate in macchina, con la musica di sottofondo. Andavamo a trovare lo zio a Lodi o i suoi cugini, oppure giravamo senza meta, alla ricerca di qualche bar nuovo dove fermarci per fare colazione la domenica mattina. Lui leggeva la Gazzetta, io bevevo un succo con una brioche.

Viaggiando spesso per lavoro, e con la sua passione per lo sport, mio padre mi ha trasmesso l’amore per i viaggi, il movimento e mi ha insegnato ad affrontare i problemi con filosofia e strategia.

Mia madre, Ornella, invece, provenendo da una cultura più di provincia e da una famiglia molto pratica e dedita al lavoro (come ogni famiglia bergamasca che si rispetti!), mi ha sempre insegnato ad affrontare la vita con senso pratico, ad amare il sole e la natura.

Ricordo spesso le nostre passeggiate in campagna, in mezzo al verde, o tra la neve d’inverno. Ancora oggi ama svegliarsi presto al mattino e farsi una camminata tra fossati e fontanili, tipici della nostra zona.

Ecco, lei potrei definirla una passeggiatrice appassionata, sempre indaffarata, attiva, dedita alla casa e a trovare modi ingegnosi per passare il tempo. Ma non manca mai di concedersi, ogni giorno, un bel pisolino pomeridiano.

Anche mia zia Elena, sorella di mia madre, è stata una figura molto importante nella mia educazione. Ricordo che in famiglia era spesso lei a giocare con me: ci divertivamo molto insieme, e mi ha sempre trasmesso tanto affetto, come se fossi un figlio per lei. O forse più un fratello minore, considerando che ci separano solo quindici anni.

È sempre stata la mia confidente più intima, una guida preziosa, soprattutto nei momenti difficili della mia adolescenza. Appassionata di letteratura, insegnante di italiano e amante dei viaggi, da lei ho imparato soprattutto la curiosità per la conoscenza e l'amore per i libri. 

Infine — ma non certo per importanza — mia nonna materna (Rosetta): una donna di campagna, con la sua passione per l’orto, il pollaio e la cucina. Di lei mi ha sempre affascinato il modo in cui riusciva a riunire intorno alla tavola chiunque passasse di lì. Per lei, il cibo era un linguaggio: un modo per comunicare se stessa e per entrare in relazione con gli altri. È proprio da lei che ho imparato a cucinare con attenzione e cura. Non era raro che a casa aiutassi mia madre, o che cucinassi io per tutti.

Anche alle feste di compleanno mi piaceva invitare gli amici e preparare qualcosa di buono per loro. Il mio pezzo forte? Risotto al vino rosso e funghi porcini (ricetta della nonna!)

Successivamente, quando mia zia si sposò, imparai anche da mio zio Salvatore— di origine napoletana e super appassionato di cucina e pasticceria — a preparare una pastafrolla pazzesca! Devo dire che, negli anni, anche lui è diventato per me un prezioso confidente. 

Sebbene tutte queste figure abbiano avuto un ruolo importantissimo nella mia educazione, ad oggi sento di dire che i miei punti di riferimento più solidi sono mio padre e Cinzia, sua moglie.

Con Cinzia ho instaurato negli anni un rapporto fatto di stima, ascolto e sincerità. È una persona lucida, pratica e profonda al tempo stesso, con cui posso confrontarmi anche su temi complessi, sapendo di essere accolto e compreso. Insieme a mio padre, forma una presenza costante e rassicurante nella mia vita adulta: una bussola affettiva, ma anche morale, che mi aiuta a orientarmi, soprattutto quando ci sono momenti di dubbio e incertezza. 

Mia mamma è nata e cresciuta nella provincia di Bergamo, e mio papà è originario di Lodi. Si erano conosciuti su una panchina al Lago di Garda. Otto anni dopo si sposarono, e poi arrivai io! 

I miei decisero di comprare casa a Fontanella, un paese vicino alla casa dei miei nonni materni, che vivevano nella campagna bergamasca. Siccome ho trascorso gran parte della mia infanzia e adolescenza dai nonni, dico sempre che “sono cresciuto tra la campagna e la città”: tra la natura, il cibo casereccio, gli animali e la realtà di un paese di provincia.


La vita in campagna ha influenzato molto la mia infanzia e buona parte della mia prima adolescenza. In quel mondo, l’idea era che esistesse prevalentemente ciò che si poteva “toccare” e trasformare con il lavoro manuale e l’immaginazione. Il mondo interno, quello dei sentimenti e della psicologia umana era sempre lì, ma per scoprirlo e appassionarmene ho dovuto prima attraversare e vivere alcune esperienze di vita.

Essendo cresciuto prevalentemente in campagna, da bambino usavo tutta la mia curiosità, immaginazione ed iniziativa per costruire casette di legno sui fossati ed in mezzo ai canneti. Ero appassionato di Lego e cercavo di capire come funzionasse il lavoro del nonno (Franco) e dello zio (Gianluca), che coltivavano i campi e allevavano bestiame. Stavo spesso con loro, li seguivo e chiedevo cosa potessi fare, come loro, immerso nel rumore dei trattori, nei suoni degli animali e negli odori della terra, dell’erba, del fieno, dei fossati e della polvere che si alzava quando il trattore passava sulla strada sterrata. Quel bambino  era lì, che si chiedeva come funzionasse quel mondo. E proprio lì, da adolescente, andavo a cavallo, guidavo trattori ed avevo imparato a fare tante cose, proprio come il nonno e lo zio. 

Mio padre, Marco (interista sfegatato), era spesso in viaggio per lavoro, ma quando era a casa passavamo molto tempo insieme. È sempre stato una persona dinamica e sportiva: tennis, ciclismo, calcio, nuoto, sci… sono stati per lui vere passioni, che ha praticato con costanza nel tempo. Mi ha trasmesso l’amore per la musica, in particolare per il blues e il soul, anche se oggi non credo di avere un genere preferito. Ascolto davvero di tutto: rap, trap, reggae, musica latina… dipende dal testo o dalla melodia.

Quando ero piccolo, mi portava spesso con lui in bici: io stavo seduto sul seggiolino, e partivamo per le sue lunghe girate. Di tanto in tanto mi portava allo stadio a vedere l’Inter, e quando era a casa mi accompagnava agli allenamenti, seguendomi con entusiasmo durante le partite. A volte mi imbarazzava un po’, perché urlava dalle tribune: “Vai Teooo, tira la bombaaa!”, oppure “Vai Teooo, fai lo scatto del gepardo!”, mentre intorno tutti seguivano l’azione in silenzio. Ma, a pensarci bene, erano momenti che mi facevano anche sentire fiero. 

Spesso mi portava a fare lunghe girate in macchina, con la musica di sottofondo. Andavamo a trovare lo zio a Lodi o i suoi cugini, oppure giravamo senza meta, alla ricerca di qualche bar nuovo dove fermarci per fare colazione la domenica mattina. Lui leggeva la Gazzetta, io bevevo un succo con una brioche.

Viaggiando spesso per lavoro, e con la sua passione per lo sport, mio padre mi ha trasmesso l’amore per i viaggi, il movimento e mi ha insegnato ad affrontare i problemi con filosofia e strategia.

Mia madre, Ornella, invece, provenendo da una cultura più di provincia e da una famiglia molto pratica e dedita al lavoro (come ogni famiglia bergamasca che si rispetti!), mi ha sempre insegnato ad affrontare la vita con senso pratico, ad amare il sole e la natura.

Ricordo spesso le nostre passeggiate in campagna, in mezzo al verde, o tra la neve d’inverno. Ancora oggi ama svegliarsi presto al mattino e farsi una camminata tra fossati e fontanili, tipici della nostra zona.

Ecco, lei potrei definirla una passeggiatrice appassionata, sempre indaffarata, attiva, dedita alla casa e a trovare modi ingegnosi per passare il tempo. Ma non manca mai di concedersi, ogni giorno, un bel pisolino pomeridiano.

Anche mia zia Elena, sorella di mia madre, è stata una figura molto importante nella mia educazione. Ricordo che in famiglia era spesso lei a giocare con me: ci divertivamo molto insieme, e mi ha sempre trasmesso tanto affetto, come se fossi un figlio per lei. O forse più un fratello minore, considerando che ci separano solo quindici anni.

È sempre stata la mia confidente più intima, una guida preziosa, soprattutto nei momenti difficili della mia adolescenza. Appassionata di letteratura, insegnante di italiano e amante dei viaggi, da lei ho imparato soprattutto la curiosità per la conoscenza e l'amore per i libri. 

Infine — ma non certo per importanza — mia nonna materna (Rosetta): una donna di campagna, con la sua passione per l’orto, il pollaio e la cucina. Di lei mi ha sempre affascinato il modo in cui riusciva a riunire intorno alla tavola chiunque passasse di lì. Per lei, il cibo era un linguaggio: un modo per comunicare se stessa e per entrare in relazione con gli altri. È proprio da lei che ho imparato a cucinare con attenzione e cura. Non era raro che a casa aiutassi mia madre, o che cucinassi io per tutti.

Anche alle feste di compleanno mi piaceva invitare gli amici e preparare qualcosa di buono per loro. Il mio pezzo forte? Risotto al vino rosso e funghi porcini (ricetta della nonna!)

Successivamente, quando mia zia si sposò, imparai anche da mio zio Salvatore— di origine napoletana e super appassionato di cucina e pasticceria — a preparare una pastafrolla pazzesca! Devo dire che, negli anni, anche lui è diventato per me un prezioso confidente. 

Sebbene tutte queste figure abbiano avuto un ruolo importantissimo nella mia educazione, ad oggi sento di dire che i miei punti di riferimento più solidi sono mio padre e Cinzia, sua moglie.

Con Cinzia ho instaurato negli anni un rapporto fatto di stima, ascolto e sincerità. È una persona lucida, pratica e profonda al tempo stesso, con cui posso confrontarmi anche su temi complessi, sapendo di essere accolto e compreso. Insieme a mio padre, forma una presenza costante e rassicurante nella mia vita adulta: una bussola affettiva, ma anche morale, che mi aiuta a orientarmi, soprattutto quando ci sono momenti di dubbio e incertezza. 

Un equilibrio da costruire


Un equilibrio da costruire


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Questa è stata la mia famiglia: numerosa, vivace, composta da persone molto diverse tra loro. A prima vista, potrebbe sembrare una grande fortuna — e lo è, da un certo punto di vista: infatti, tutte le persone della mia famiglia mi hanno trasmesso molte qualità (determinazione, curiosità, inventiva, la passione per la natura etc…). Tuttavia, per un bambino o un adolescente, crescere in un ambiente così variegato può risultare anche piuttosto confusionario.

In una famiglia dove coesistono mondi diversi, a volte persino opposti, trovare una direzione non è sempre facile. Da un lato c’era mio padre, con la sua mentalità cittadina, i suoi valori urbani, dinamici e moderni; dall’altro mia madre, mio nonno e mio zio, con la loro cultura rurale, fatta di tradizione, concretezza e radicamento alla terra.

Per molto tempo mi sono sentito in bilico tra questi due mondi, senza riuscire a trovare davvero il mio posto. A volte mi sentivo un outsider, diviso, spaesato. Oggi riconosco che quella complessità, che allora mi disorientava, è stata in realtà una delle più grandi opportunità di crescita che potessi ricevere.

Mi ha insegnato a stare tra mondi diversi, a comprenderne i linguaggi, le sfumature, le emozioni di ognuno. Mi ha aiutato a sviluppare una sensibilità profonda, un ascolto autentico, un rispetto sincero per l’unicità di ogni persona.

Soprattutto, mi ha insegnato a non giudicare, ma ad essere curioso: verso le persone, le storie, le differenze. E, forse, è anche grazie a questo che oggi sono diventato lo psicologo che sono.

Ma all’epoca non è stato facile. Quella confusione era una compagna silenziosa della mia adolescenza e dei primi anni della mia giovinezza. Pensavo che il mio futuro sarebbe stato simile a quello di molti miei coetanei: avevo deciso di lasciare la scuola e dedicarmi a un lavoro manuale, come avevano fatto il nonno, lo zio e anche mia madre. Infatti, lavorai per un paio d’anni come idraulico.



Questa è stata la mia famiglia: numerosa, vivace, composta da persone molto diverse tra loro. A prima vista, potrebbe sembrare una grande fortuna — e lo è, da un certo punto di vista: infatti, tutte le persone della mia famiglia mi hanno trasmesso molte qualità (determinazione, curiosità, inventiva, la passione per la natura etc…). Tuttavia, per un bambino o un adolescente, crescere in un ambiente così variegato può risultare anche piuttosto confusionario.

In una famiglia dove coesistono mondi diversi, a volte persino opposti, trovare una direzione non è sempre facile. Da un lato c’era mio padre, con la sua mentalità cittadina, i suoi valori urbani, dinamici e moderni; dall’altro mia madre, mio nonno e mio zio, con la loro cultura rurale, fatta di tradizione, concretezza e radicamento alla terra.

Per molto tempo mi sono sentito in bilico tra questi due mondi, senza riuscire a trovare davvero il mio posto. A volte mi sentivo un outsider, diviso, spaesato. Oggi riconosco che quella complessità, che allora mi disorientava, è stata in realtà una delle più grandi opportunità di crescita che potessi ricevere.

Mi ha insegnato a stare tra mondi diversi, a comprenderne i linguaggi, le sfumature, le emozioni di ognuno. Mi ha aiutato a sviluppare una sensibilità profonda, un ascolto autentico, un rispetto sincero per l’unicità di ogni persona.

Soprattutto, mi ha insegnato a non giudicare, ma ad essere curioso: verso le persone, le storie, le differenze. E, forse, è anche grazie a questo che oggi sono diventato lo psicologo che sono.

Ma all’epoca non è stato facile. Quella confusione era una compagna silenziosa della mia adolescenza e dei primi anni della mia giovinezza. Pensavo che il mio futuro sarebbe stato simile a quello di molti miei coetanei: avevo deciso di lasciare la scuola e dedicarmi a un lavoro manuale, come avevano fatto il nonno, lo zio e anche mia madre. Infatti, lavorai per un paio d’anni come idraulico.

Diventare psicologo

Diventare psicologo

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Poi, a 17 anni, arrivò una svolta importante: la separazione dei miei genitori.
Fu un momento doloroso, carico di tensioni che per anni erano rimaste sotto traccia, ma che in quella crisi emersero con forza. Ricordo quel periodo come uno spartiacque. A volte, le crisi familiari diventano il punto da cui tutto cambia: nelle relazioni, nelle scelte, nei sogni.
Per me fu così.

La sofferenza mi costrinse a fermarmi, a guardarmi dentro, a chiedermi davvero cosa volessi fare della mia vita. E fu lì che decisi di riprendere gli studi e, poco dopo, iniziai l’università.

Mi iscrissi a Psicologia, e sin dai primi giorni ricordo di aver pensato: “Ecco, mi sento proprio nel mio ambiente”. Fu un segnale chiaro. Per la prima volta, sentivo che la strada che stavo percorrendo parlava davvero di me.

Da quel momento, tutto cambiò: le mie amicizie, le relazioni, le prospettive. Mi immersi in un mondo fatto di ricerca, comprensione, ascolto profondo.
Un percorso che mi ha portato a diventare la persona che sono oggi: uno psicologo animato da passione, curiosità e desiderio di mettersi al servizio di chi attraversa momenti difficili.
Lo faccio con il massimo rispetto per l’unicità di ogni persona, con attenzione sincera alla sua storia, alle sue fatiche, ai suoi desideri. Aiutare qualcuno a ritrovare un proprio equilibrio, che sia autentico e su misura per sé, è per me un atto di profonda umanità.


Ti ho raccontato un po’ di me, consapevole che ognuno porta con sé un vissuto unico, con le proprie esperienze, fatiche e trasformazioni. E l’ho fatto anche perché credo nel valore di una relazione terapeutica fondata sulla fiducia e sull’autenticità: perché solo attraverso un incontro umano e sincero si può dare spazio a ciò che ciascuno è, ed essere accompagnati in un percorso di comprensione e cambiamento.

Poi, a 17 anni, arrivò una svolta importante: la separazione dei miei genitori.
Fu un momento doloroso, carico di tensioni che per anni erano rimaste sotto traccia, ma che in quella crisi emersero con forza. Ricordo quel periodo come uno spartiacque. A volte, le crisi familiari diventano il punto da cui tutto cambia: nelle relazioni, nelle scelte, nei sogni.
Per me fu così.

La sofferenza mi costrinse a fermarmi, a guardarmi dentro, a chiedermi davvero cosa volessi fare della mia vita. E fu lì che decisi di riprendere gli studi e, poco dopo, iniziai l’università.

Mi iscrissi a Psicologia, e sin dai primi giorni ricordo di aver pensato: “Ecco, mi sento proprio nel mio ambiente”. Fu un segnale chiaro. Per la prima volta, sentivo che la strada che stavo percorrendo parlava davvero di me.

Da quel momento, tutto cambiò: le mie amicizie, le relazioni, le prospettive. Mi immersi in un mondo fatto di ricerca, comprensione, ascolto profondo.
Un percorso che mi ha portato a diventare la persona che sono oggi: uno psicologo animato da passione, curiosità e desiderio di mettersi al servizio di chi attraversa momenti difficili.
Lo faccio con il massimo rispetto per l’unicità di ogni persona, con attenzione sincera alla sua storia, alle sue fatiche, ai suoi desideri. Aiutare qualcuno a ritrovare un proprio equilibrio, che sia autentico e su misura per sé, è per me un atto di profonda umanità.


Ti ho raccontato un po’ di me, consapevole che ognuno porta con sé un vissuto unico, con le proprie esperienze, fatiche e trasformazioni. E l’ho fatto anche perché credo nel valore di una relazione terapeutica fondata sulla fiducia e sull’autenticità: perché solo attraverso un incontro umano e sincero si può dare spazio a ciò che ciascuno è, ed essere accompagnati in un percorso di comprensione e cambiamento.

Come posso aiutarti?


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+39 388 4380 252

Viale della Repubblica 149 Prato

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© Copyright 2024

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